Recensione: Fulvio Abbate, L’amichettismo, ovvero il conformismo di sinistra

Andrea Carloni scrive la recensione del libro di Fulvio Abbate, L'amichettismo. È un pamphlet che parlar delle passioni, delle piccole e grandi felicità della pratica amichettistica e delle sue implicazioni politiche e del peso che ancora ha sullo sviluppo culturale del nostro Paese. E ora immergetevi nella lettura di questo neologismo.

La definizione

“Si dice conformista uno che si conforma, uno che assume la forma del contenitore (…) pretende infatti che la sua adesione alle forme esterne sia chiara ed evidente. Il conformista non accetta che lo si possa scambiare per qualcos’altro, per un irregolare”.

Questo l’incipit di Sul conformismo di sinistra, pamphlet di Fulvio Abbate del 2005 (Gaffi Editore), dal quale riceviamo evidenza di ciò che dovrebbe essere fra i principali intenti di uno scrittore: definire la realtà, dare i nomi alle cose. Intento prezioso se il presupposto è quello di depurare la propria osservazione del mondo attuale da ogni interpretazione generalista, compiacente, banale e trovarne piuttosto di nuove, alla luce di uno sguardo disinteressato e di una parola inedita. Compito arduo se l’attenzione della ricerca riguarda proprio uno fenomeno calcificato e resistente come quello del conformismo, nella fattispecie, quello di sinistra. Perché la sinistra, ricorda e sottolinea l’autore:

viene al mondo della storia per tagliare la testa ai re, per buttare giù ogni corona, tutto il resto è decisamente fuori tema, soltanto schiuma.”

Partendo dalla definizione del fenomeno sotto la lente, la trattazione di Fulvio Abbate prosegue articolandosi in numerosissimi esempi di episodi e personaggi coinvolti, toccati e trascinati dal conformismo. Non concede sconti, ce n’è quasi per tutti: da Carla Bruni a Roberto Benigni, da Marco Tullio Giordana a Nanni Moretti, il velo conformista si apre distendendosi sulla politica, lo spettacolo, il cinema, il costume. Non risparmia ambito alcuno dell’espressione piccolo borghese: si cita il Pasolini della metà degli anni ‘70 che incitava i giovani comunisti a dibattere i problemi con l’arma del dubbio, anziché giovarsi degli applausi ai luoghi comuni. Il danno di una politica e una società conformiste è anzitutto la perdita della complessità di visione sull’attuale, oltre che della memoria storica. Complessità che invece andrebbe restituita al – o a quel che rimane del – pensiero, e che è necessaria per analizzare spietatamente e approfonditamente le derive omologazioniste.

Quasi vent’anni dopo infatti Abbate sente il bisogno di pubblicare un nuovo trattato sul tema, rendendolo più specifico e calzante sui tempi correnti: L’amichettismo, uscito generosamente in versione elettronica, libera e gratuita, su MowMag.

“L’amichettismo racconta un insieme chiuso di relazioni. Per lo più interessate. Un progetto d’ambizione decisamente professionale, l’affetto appare secondario (…) Il pensiero del singolo, dell’individuo, della persona stessa si ritrova così sostanzialmente negato, cancellato; assente è ogni vera libertà, la stessa fantasia, così nel suo recinto; in definitiva siamo nel dominio del conformismo”.

Dal conformismo all’amichettismo

La definizione in incipit è qui non a caso ancor più imprescindibile. Difatti il termine stesso “amichettismo” lo si deve proprio Fulvio Abbate (nella pubblicazione sono riportate precisamente le circostanze in cui è stato coniato) e ora che lo studio si focalizza su una branca della scienza del conformismo, la trattazione si fa più meticolosa e sfaccettata. Il tempo è quello attualissimo, l’azione è l’adesione ideologica, il luogo è quello del potere (lo schieramento sempre a sinistra). Il compromesso è la morte di quella espressione individuale che ogni artista o intellettuale dovrebbe invece salvaguardare con ogni mezzo. Nomi e cognomi dalle schiere degli unti dal balsamo dell’amichettismo sono numerosi e la sua untuosità si propaga attraverso le molteplici categorie dell’essere: il suo colore è il fucsia, il suo sentimento è tardo-adolescenziale, il suo linguaggio è l’emoticon.

“La storia intera della letteratura, dall’Iliade a “L’uomo senza qualità”, in un attimo cancellata dalle emoticon. L’emoticon è segno di complicità, di adesione incondizionata al nulla, sospende ogni pensiero critico, lo tramuta in “pensierino”.

Gli Atti degli Amichetti si rivelano con la banalizzazione di comodo dei diritti civili, il femminismo ridotto alla forma dello slogan illustrato nei meme, la presunzione manichea dell’etica e dell’appartenenza, la negazione ansiosa del dissimile e dell’alterità, lo svilimento in maschera catto-comunista dello slancio laico, dell’istanza critica e del piacere.

Conclusioni fra realtà e fantasia

Non è qui nostra intenzione né anticipare, tantomeno sintetizzare un testo la cui esaustività potrete sperimentare da soli e del quale a noi interessa in questa sede solamente riferirvi la spassionata lucidità con cui l’autore ce lo presenta. Autore il quale, consapevole che un sovvertimento del sistema conformista possa oggi essere soltanto utopico, non può rinunciare alle ridistribuzioni dei pesi della bilancia verso piatto del reale:

“Cosa deve fare la sinistra per essere tale? Semplice, porsi come un ospitale e reperibile CAF cui possano rivolgersi i ragazzi senza amici, i più deboli, i più fragili, per avere garantiti i diritti minimi di democrazia, e di cittadinanza. Il principio del piacere”.

Ma perché ciò sia possibile sarebbe indispensabile che le anime amichette ritrovino l’incanto e l’arrischio del rivolgere lo sguardo, per l’appunto, alla realtà, alle cose, alle persone, agli altri, e quindi, all’altro da sé. Non è cosa da poco. E una volta presa contezza del reale e dei suoi limiti, ci sarebbe persino la fantasia di cui occuparsi. Ma questa è un’altra storia e si dovrà raccontare un’altra volta. – Andrea Carloni

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