Yoga di Emmanuel Carrère è un’opera che sfida le convenzioni della narrativa autobiografica, intrecciando la ricerca della serenità con il racconto della malattia mentale. Iniziato come un libro “arguto e accattivante” sullo yoga e il tai chi, a metà percorso il testo subisce una metamorfosi, quando Carrère descrive una crisi psichica che lo conduce al ricovero in una clinica e a una diagnosi di disturbo bipolare. Questo cambiamento improvviso trasforma il libro in una testimonianza potente e personale della fragilità umana. La recensione del libro è di Raffaele Cataldo, anche lui ora tra i libri di Carlo (e non solo).

Piacere e spavento

Quando sono ospite a casa di qualcuno, difficilmente leggo il libro che ho portato con me. La libreria della padrona o del padrone di casa mi sembra sempre più interessante, per cui metterò da parte qualunque cosa stia leggendo in quel momento per calarmi nelle letture altrui. Non mi sarei mai avvicinato a Yoga di Emmanuel Carrère se non così: per il gusto di rubarlo dal comodino di qualcun altro. Il bello delle letture estive in fondo è anche questo: prendersi una vacanza da sé, dalla tirannia delle preferenze e dei preconcetti, e lasciare che sia il caso ― o quell’io diverso in cui ci trasformiamo quando siamo in vacanza ― a scegliere per noi in quali acque inesplorate immergersi. Solo che questa volta non ero preparato a un viaggio così insidioso. Dalla lettura di Yoga ho tratto tutto il piacere e lo spavento che può dare una deviazione imprevista. E così dev’essere stato anche per il suo autore.

Arguto e accattivante

Quello che avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni di Carrère, un libro “arguto e accattivante sullo yoga”, il resoconto autobiografico di un ritiro di meditazione sulle montagne del Morvan, assume tutt’altro tono e atmosfera circa a metà, con un cambio repentino nelle condizioni di luce. Dopo averci guidato nel suo percorso alla ricerca della “meraviglia e della serenità”, Carrère ci racconta di come è sprofondato di colpo in una crisi psichica che lo ha portato al ricovero e a una diagnosi di bipolarismo. 

Ciò che nasce dall’accostamento di questi due momenti è la testimonianza ― quasi in presa diretta ― di come l’idea di un libro possa corrompersi nel suo farsi, insieme alla vita di chi lo scrive, e il tentativo ―  dichiarato, condiviso con il lettore ― di unire due esperienze tanto opposte. Il risultato è incredibile nella sua organicità. Tanto “accattivante” nei passaggi più soleggiati, quelli dedicati alla meditazione, quanto spaventoso nel racconto in prima persona della sofferenza e della malattia, dell’orrore di una vita non più riconoscibile. Alle varie definizioni di meditazione, agli aneddoti zen, Carrère abbina immagini terrificanti dall’inferno della depressione, selezionate dalla sua esperienza personale e dalla letteratura (scientifica e non). Ogni digressione, ogni breve capitolo, è un tassello solo in apparenza incoerente, che visto nella globalità forma un disegno inscindibile come un mandala.

Yin e yang

Ho letto Yoga in una riedizione di Repubblica, diversa da quella che trovereste in libreria: in copertina ci sono due macchie di pittura, una nera e una bianca. È un’immagine che richiama immediatamente il concetto di yin yang, la complementarità degli opposti, che è al centro delle riflessioni dell’autore. Così come nella filosofia zen, anche nell’opera di Carrère, l’armonia non nasce dalla mescolanza delle due tinte: il bianco e il nero non si fondono e appiattiscono nel grigio, ma si fanno l’uno esaltazione dell’altro. La luce sulle vette innevate del Morvan, dove Carrère si ritira in meditazione, è tanto più abbagliante quanto è assoluta l’oscurità che segue le sedute di elettroshock.

Infinitamente aperto

Carrère pianificava di scrivere un libro “accattivante e arguto”, e in parte ci è riuscito, ma ha scritto anche un libro drammaticamente necessario, in cui i due poli riescono a convivere: “l’incessante aspirazione all’unità, alla luce, all’empatia, e l’opposto, potente richiamo della divisione, della chiusura in sé, della disperazione.” Scrivendo, rielaborando ricordi, piangendo, riprendendo il controllo del respiro, nelle pagine di Yoga Carrère si riabitua con fatica alla speranza. Con fatica, si fa strada dall’assoluta involuzione in se stesso verso “l’infinitamente grande, l’infinitamente aperto”, il mondo, l’altro. Alla fine, si ridà alla luce, e noi, con lui, ricordiamo come ognuno sia chiamato, giorno per giorno, a ricostruirsi, genitore di se stesso ― Raffaele Cataldo.

4 risposte

  1. Mi interessa quanto detto nella recensione circa la vicenda del testo, quindi lo leggerò volentieri.
    Grazie.
    Mauro Bertulli

    1. Grazie, Mauro. Le recensioni dovrebbero proprio servire a questo, specie quando nascono da una lettura attenta. Aspettiamo i tuoi commenti, se vorrai.

    1. Le parole sono di Raffaele Cataldo, che per me è un onore accogliere nella squadra dei Libri di Carlo. Grazie dell’apprezzamento e buona lettura.

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