Siamo nel Sudafrica del 1986, quattro anni prima della liberazione di Nelson Mandela. Da lì si avvia La promessa di Damon Galgut (e/o), polifonico romanzo valso all'autore il Booker Prize 2021, in quello che è stato un anno d'oro per la letteratura africana. L'opera è una saga familiare che, inseguendo quella promessa, attraversa il primo trentennio del Paese post-apartheid. Particolarmente riuscita la voce narrante, originale e fluida mentre scivola come una telecamera in presa diretta tra i diversi punti di vista dei personaggi. La recensione del libro è di Anna Da Re.

Ci sono persone per le quali una promessa è qualcosa di sacro, che va rispettato a qualunque costo. E anzi questo ne è il senso e il valore, come si trattasse di una prova, di una pratica che trova nella sua difficoltà la sua ragione d’essere. Non a caso la promessa è uno dei fondamenti delle religioni, nonché delle istituzioni su cui si fonda una società.

“Ho sentito quello che Pa’ ti ha detto, e non è giusto.
Che cosa non è giusto?
Ha promesso. L’ho sentito. Ha promesso a Ma’ che avrebbe dato a Salome la sua casa.
Il suo faccino è illuminato dalla certezza.
Amor, le dice piano.
Cosa?
Salome non può avere la casa. Anche se Pa’ volesse, non gliela potrebbe dare.
Perché no? dice lei stupita.
Perché, dice lui. Perché è contro la legge.”

La famiglia

Al centro del romanzo, pubblicato da E/O, che ho letto in originale tanto che i testi citati sono di mia traduzione, sta una promessa, quella che la protagonista Amor ha ascoltato, non vista, fare dal padre alla madre morente: siamo in Sud Africa, in una fattoria, prima di Mandela e della fine dell’apartheid, e la promessa è che a Salomé, la serva nera che è sempre stata con la famiglia, venga riconosciuta la proprietà della casa, o meglio della baracca con un po’ di terra annessa, in cui vive, ai margini della proprietà.

Amor è una bambina quando ascolta questa promessa. Sua madre Rachel sta morendo, e questa sembra quindi la sua ultima richiesta, il suo ultimo desiderio. Nobile, generoso. Amor non può neanche immaginare che venga tradita. Ai suoi occhi di bambina non ci sono motivi perché non si debba mantenere.

Eppure i motivi ci sono. Nel momento in cui Rachel muore, in Sud Africa i neri non possono avere delle proprietà. Inoltre la famiglia del marito e il marito stesso non riescono ad accettare il fatto che, quando ha scoperto di avere una malattia inguaribile, Rachel ha deciso di tornare alla sua religione d’origine, quella ebrea. E chiede un funerale ebraico e di essere seppellita in un cimitero ebraico con la sua famiglia.

La decisione di Rachel crea una frattura che non verrà mai risanata, e tutti i membri della famiglia, lasciati a se stessi, si perderanno rapidamente.

“Ha guidato così per ore, perché non può sopportare l’idea di restare a casa da solo. Sono un vedovo. Continua a pensarla, ancora e ancora, quella frase sono un vedovo, saggiando la stranezza della parole, della condizione che denota. I due figli di Astrid sono già stati portati via dal padre, e la casa si è trasformata in un attimo da un luogo pieno e rumoroso a un guscio vuoto e ristretto. Le stanze, svuotate del loro elemento più famigliare, sembrano avere un’eco, ma la più rumorosa di tutte le stanze è quella dentro la sua testa. Per silenziarla, si è messo al volante. E ci è rimasto, mentre il sole scendeva e le luci si accendevano, e la notte scivolava dentro ogni cosa.”

È estremamente interessante, e anche originale e mai letto, che Galgut abbia scelto un valore così preciso e così parte integrante della nostra etica, seppure piuttosto trascurato.

Il modo in cui la promessa viene tradita dai vari protagonisti del romanzo in qualche modo li definisce, li determina.

Il padre, la sorella maggiore e poi il fratello, uno alla volta muoiono, portando con sé il tradimento della promessa originaria. Amor, che è stata mandata in collegio già quando la madre era in fin di vita e ci è stata rimandata dopo la morte, non sente di fare parte della famiglia e sceglie di vivere lontano, tornando alla fattoria solo per assistere ai funerali e ricordare la promessa.

ll Sud Africa

Intanto la vita fa il suo corso e il Sud Africa cambia profondamente. Anche la promessa della rivoluzione e della democrazia, dell’uguaglianza e della dignità di tutti viene tradita.

La bellezza che si intuisce, i cieli, lo spazio, sembrano soffrire della stessa incuria di cui soffre la fattoria dopo la morte di Rachel. Come se venisse a mancare, nella famiglia del romanzo e nella cultura di questo paese tormentato, la capacità di prendersi cura: di quello che ci circonda, degli altri, di se stessi.

I protagonisti di questa storia sembrano accorgersi solo marginalmente delle trasformazioni del loro paese, incapaci di partecipare veramente e di mescolarsi agli altri, arrotolati su se stessi fino a perdersi completamente.

L’unica è Amor, che sceglie di lavorare come infermiera, di portare su di sé una parte della sofferenza degli altri. È una scelta estrema e fatta di sottrazioni e rinunce, ma è l’unica che Amor sente come giusta per se stessa.

La promessa che non può dimenticare è anche il simbolo del debito, profondo e del tutto insaldabile, dei bianchi nei confronti dei neri. E anche quando le sembrerà di poterla esaudire, la legge sarà di ostacolo, perché sulla terra che vorrebbe finalmente lasciare a Salomé c’è una precedente rivendicazione, e quindi Salomé rischia di essere sfrattata.

Una voce che ci sta vicina

“Sentendosi di nuovo normale, e anzi meglio di prima. Lascia lì l’urna, non ha senso portarsela dietro, e comincia a scendere dal tetto, un passo alla volta, verso cosa, verso quello che succederà, qualunque cosa sia.”

In questo finale parzialmente sospeso sta comunque una parte della grandezza di questo romanzo, che non a caso ha vinto, nel 2021, il Booker Prize, di certo uno dei premi più raffinati oltre che prestigiosi.

Una grandezza che viene non solo dal riuscire a mettere insieme le piccole e in fondo tristi vite dei protagonisti, le morti improvvise ma anch’esse piccole, con un momento storico che vede invece il riscatto e la vittoria di Mandela, e lo sforzo di superare l’apartheid con una politica di riconciliazione.

Viene soprattutto dal modo in cui le vicende sono raccontate, dalla minuzia dei dettagli, dalla forza delle parole e soprattutto dalla voce che resta vicina al lettore e sembra un sussurro. Sommessa eppure potente, indimenticabile. – Anna Da Re

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