La nave faro Texel occupa una sottile linea liminare dell’esistenza. Fissa nel mare per segnalare con il suo faro la rotta alle navi nel mare, al largo dei Paesi Bassi, è sospesa sull’orizzontalità di acque che non può navigare. La vita del suo equipaggio è al centro del romanzo di Mathijs Deen, La nave faro, tradotto da Elisabetta Svaluto Moreolo per Iperborea (2022).
Non dovrebbe nemmeno avere il nome di nave, perché non salpa mai:
“Una nave faro non ha un’elica, non ha un motore, sul ponte di comando non c’è un timone; non può far altro che ondeggiare, un po’ sconsolata, un animale che tira invano una catena.”
Uomini in mare
Per quattro settimane, l’equipaggio della Texel conduce un’esistenza monotona e isolata. Per questi uomini la vita è prevedibile, lo spazio abitativo è limitato e le ricompense sono piccole. Fanno la guardia, conducono osservazioni meteorologiche e mantengono accesa la luce per le navi in avvicinamento. Tutti a bordo desiderano ardentemente la fine del loro turno. Ma da quando Lammert, il cuoco della nave, ha portato a bordo il capretto, con il programma di macellarlo a metà turno e in modo da poter preparare il gule kambing, un piatto indonesiano della sua infanzia, le barriere isolanti, i filtri degli uomini di mare si infrangono, si contaminano delle loro vite, in metamorfosi irregolari.
L’animale
L’animale incrina la compattezza del quotidiano, inquieto succedersi di slittamenti e di eccezioni rispetto al rumore delle onde e dei motori che garantiscono l’accensione del faro, aprendo un orizzonte inatteso.
Il capretto fa emergere paure ed emozioni sepolte. Il marinaio più giovane gli si affeziona, lo coccola e nutre con il biberon, mentre l’infelice Gerrit Snoek vede tra nelle sue corna il diavolo e non riuscirà a trattenere il furore. E mentre la nave è avvolta da una fitta nebbia e il cuoco cade preda di un attacco di malaria, le cose prendono rapidamente una svolta inquietante.
“Ma poi, che cosa sappiamo noi degli altri? Che cosa sappiamo davvero di un’altra persona.”
La metamorfosi
Accudire il capretto o tentare di ucciderlo stordisce e sfoltisce la ciurma, mettendo un freno all’arroganza del dominio. Mathijs Deen cattura la tragica risonanza di quelle vite che, come la nave faro, rischiano di non andare da nessuna parte e che, come noi, possono essere intrappolate nel proprio passato,come un animale incatenato. Onda su onda, il capretto invece si arrampica, scivola e si rialza, e va avanti per pagine su un’isola di metallo, nonluogo desolato, mettendo a nudo la fragilità della mente umana. – Carlo Albarello
2 risposte
Ottima recensione. Grazie mille Carlo!!!
Grazie a te.